domenica, Aprile 28, 2024

When Evening Falls on Bucharest or Metabolism di Corneliu Porumboiu al Trieste Film Festival 2014

When Evening Falls on Bucharest or Metabolism è uno sguardo dietro le quinte di Corneliu Porumboiuun film sul cinema e sulle sue radici di un giovane cineasta rumeno al terzo lungometraggio (A est di Bucarest, Caméra d’or a Cannes 2006, Politist adjectiv premiato nella sezione Un certain regard). 

A chi gli chiede le sue origini e perché abbia scelto il cinema risponde, in alcune interviste, d’esser crseciuto con Fellini, Rossellini, De Sica e Antonioni grazie alla sua formazione da vero e proprio cinefilo che osserva il cinema con lo stupore di un ragazzo di provincia.
Ricostruire un plot da sequenze di puro metacinema è quello che Porumboiu sembra provocatoriamente proporre al pubblico, ma è anche l’occasione per ricordare la frase di Cézanne che, nell’ormai lontano 1983, spinse Wenders a quella riflessione sul cinema che divenne Lo stato delle cose: “Tutto va scomparendo, dobbiamo affrettarci se vogliamo vedere ancora qualcosa”.

Il cinema può dunque ancora presumere che un reale ci sia, quindi plasmarlo a sua immagine e somiglianza? Paul (Bogdan Dumitrache) è un regista che sembra crederci quando la sera scende su Bucarest, ma il mattino dopo si fa prendere da una crisi artistica e non va sul set dicendo di soffrire di gastrite. Metabolismo e ombre della sera, convergono così le due parti di questo titolo, surreale come tutto il film, duro da reggere fino in fondo, capita di chiedersi, a momenti, il senso di quello che stiamo vedendo, ma è proprio questo lo scopo di Porumboiu, scuotere le rassicuranti certezze sulla razionalità e plausibilità del reale.

Basta vedere l’accanimento nella sequenza della scena di nudo fatta da un’attrice completamente vestita, o la disquisizione sulla civiltà di un popolo regolata dall’uso di forchette o bastoncini a tavola. Esilarante e straniante insieme, il film spiazza continuamente proponendo assiomi perturbanti e schizoidi. La gastroscopia, fatta per una malattia che non esiste e digitalizzata su DVD, passa sullo schermo in una lunga sequenza, mentre la vita reale continua ad intrecciarsi con le sorti del film. Alla fine del lungo scorrere di viscere sul monitor capiamo (o meglio, ce lo fa capire la collega di Paul) che lui ha alterato il video. Perché? Il tocco del regista/demiurgo può dunque manipolare e deviare il corso della storia?
Vita e arte, chi delle due copia l’altra? si chiedeva il poeta.
Difficile dirlo, e allora bisogna che Alina (Diana Avramut), l’attrice con cui Paul ha anche una relazione, provi e riprovi a casa del regista la scena di nudo che lui vuol inserire il giorno dopo.

Lei ci sta (che altro potrebbe fare?) e mima la scena descrivendo a voce alta ogni gesto  compiuto, e lui la costringe continuamente a ripeterla nel tentativo impossibile di ricomporre la frattura tra finzione e realtà. Seguono altri momenti di smontaggio e rimontaggio del meccanismo cinematografico, interrotti da parentesi in cui si direbbe che la realtà torni in primo piano, ma ben presto le carte sono scombinate e il gioco riprende. Nell’ altalena fra i due mondi di questa specie di caverna platonica, Porumboiu esercita un surreale controllo del reale che rimanda ancora al mondo di Friedrich, il regista di Wenders: “… come viene fuori il soggetto la vita se ne va e tutti i soggetti raccontano la morte” .

Paul, alias Porumboiu, fa suo anche un principio- base di Antonioni, relativamente al modo in cui il dettaglio più che avere una funzione connotativa, serve a dare il senso del quadro completo. L’ombra di Antonioni si proietta massiccia sulla scena, e Alina “ … somiglia a Monica Vitti, stesso distacco” dice Laurentius, il secondo dei due registi/attori del film,
In ogni momento, in aperto contrasto con la fissità ossessiva della camera nella maggior parte delle inquadrature (vedi loro due al ristorante cinese, o l’interno della roulotte durante il trucco, o la gastroscopia di Paul) si riafferma l’impossibilità di spostare le cose dalla loro condizione di costante mutevolezza.
Cosa guardiamo quando guardiamo, cosa pretendiamo di circoscrivere e definire con le parole se nell’attimo stesso in cui si formulano in bocca la realtà non è più la stessa? Può un’immagine impressa in un fotogramma fermare la fluidità del reale? E qual è lo sguardo di Corneliu Porumboiu, giovane regista di un cinema rumeno che sta emergendo con interessanti proposte negli ultimi anni? (Cristian Mungiu e Calin Peter Netze per tutti) . Vedere la vita e registrarla, con un occhio candido. Quasi come scalare l’Everest a piedi nudi.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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